Una caduta accidentale
La sera del 12 Ottobre 2010 Serena è incappata in un brutto incidente domestico.
Correndo verso la sua cameretta ha incastrato il piede sinistro tra la porta e una bacinella piena di panni da stendere, che avevo temporaneamente appoggiato nell’angolo, ed è caduta rovinosamente, con la gamba in torsione. Ho capito subito che era qualcosa di importante perché il suo pianto era terribilmente inconsolabile, manifestazione di un forte dolore che non accennava a diminuire.
I minuti passavano e la situazione non migliorava… Gabriele ed io abbiamo provato a rimetterla in piedi, ma Serena non appoggiava la gamba.
Subito al pronto soccorso e la lastra ha evidenziato ciò che era immaginabile… Serena aveva la “gamba rotta”… E’ stata ricoverata e i giorni trascorsi in ospedale sono stati durissimi.
Per una crudele coincidenza avevamo saputo proprio qualche giorno prima che le persone con Sindrome di Sotos devono fare particolare attenzione all’anestesia, sia per effetti neurologici negativi, sia per la particolare conformazione della bocca che può creare problemi in caso di intubazione. Adesso, dovendo ridurre la frattura, eravamo di fronte a due ipotesi:
la prima presupponeva una pre-anestesia, riallineamento della tibia (fortunatamente frattura non scomposta) e conseguente gesso se l’osso rimaneva nella posizione corretta – la seconda ipotesi riguardava un’anestesia prolungata nel tempo nel momento in cui l’osso non riusciva a mantenere la posizione corretta e, quindi, intervento chirurgico per mettere un ferro.
Alla luce di quanto saputo qualche giorno prima la seconda ipotesi ci faceva molta paura perché piena di incognite e dubbi. Anche in questo caso l’osteopatia ci è venuta incontro. Siamo riusciti a far fare a Serena un trattamento osteopatico (senza coinvolgere i dottori dato che questa pratica non rientra nei protocolli) prima della riduzione della frattura. Ciò ha permesso che i fasci muscolari, ancora in torsione e in tensione, riprendessero la loro normale fluidità aiutando così la tibia a mantenere la posizione giusta una volta riallineata.
Questa nostra convinzione però non era condivisa dai dottori (anche perché non sapevano della seduta osteopatica) e per prassi ci volevano far firmare il consenso anche per l’intervento chirurgico.
A questo punto è iniziata una battaglia tra loro e noi… Loro con i protocolli da seguire… Noi che cercavamo di far capire che erano di fronte ad una malattia rara, che avevamo poco a che vedere con le procedure usuali, dato che tutto poteva essere imprevedibile. Tenere la bimba sotto anestesia per ore solo perché i protocolli lo prevedevano per noi era inconcepibile. E se qualcosa fosse andato storto? Chi ci avrebbe ridato tutto il lavoro e gli sforzi fatti fino ad allora? Eravamo noi a firmare quindi noi volevamo decidere… Con le lacrime agli occhi ho gridato che preferivo una figlia zoppa piuttosto che andare a rischiare dei danni neurologici!!! I medici, da parte loro, si sentivano messi in discussione perché sembrava che noi non avessimo fiducia nel loro operato, da parte nostra non volevamo decidere a priori e dare carta bianca!!! Un tira e molla assolutamente estenuante.
E’ stato davvero complicato far capire la nostra posizione che anche in questa circostanza era senza dubbio il bene di Serena, ma sicuramente poteva non coincidere con il bene che due genitori “normali” vogliono per loro figlio “normodotato”.
Gabriele è andato persino dal Direttore Sanitario dell’Ospedale per spiegare la situazione, per far sì che venissero allentate le procedure, avendo di fronte un caso “speciale”. Alla fine siamo arrivati ad un compromesso: avrei avuto il permesso di stare in sala operatoria e dare i consensi “step to step” cioè passo passo avrei verificato con i dottori il da farsi e quindi dare il consenso volta per volta. Il personale del gruppo operatorio quando mi hanno visto arrivare ed entrare non riuscivano a credere che avevo ottenuto il permesso di stare lì.
Una signora mi ha detto: “In tanti anni che lavoro qui non era mai successo!!! Come avete fatto?!!”
Sicuramente abbiamo imparato ad essere molto persuasivi se siamo convinti che il nostro agire è per il bene di Serena!!!
Non vi dico la miriade di emozioni che ho provato nel vedere Serena addormentarsi sotto l’effetto della pre-anestesia in sala operatoria (io stavo in un angolo vestita di tutto punto come un medico a dare l’OK), vedere con i miei occhi i dottori che rimettevano a posto la tibia (le immagini a raggi x erano proiettate su uno schermo gigante sul muro), la gioia che ho provato di fronte alla loro incredulità quando hanno verificato che la frattura era ricomposta e non occorreva l’intervento chirurgico (cosa della quale noi eravamo certi), alla fine il gesso (dalla punta del piede all’inguine).
Mi sono complimentata per il lavoro svolto anche perché siamo stati dei “pazienti” alquanto particolari, un po’ rompiscatole, non ligi alle regole e soprattutto “rari”. Non vogliamo dire che questi dottori non avrebbero fatto lo stesso, ma il pressing che abbiamo attuato li ha indotti ad avere una attenzione sicuramente maggiore e nel nostro caso era più che auspicabile.
Da quel punto in avanti l’iter è stato quello usuale e lungo all’incirca 3 mesi: dal gesso lungo siamo passati al “gambaletto” per poi arrivare al tutore e da qui la riabilitazione.
Serena è stata bravissima perché si è subito adattata a questa spiacevole situazione e non si è mai lamentata.
Noi genitori abbiamo dovuto riorganizzare la quotidianità e non è stato affatto facile… abitando al terzo piano senza ascensore non potevamo permetterci che Serena trascurasse la scuola, ma dato che per lei le stampelle erano improponibili e per me era impossibile portarla in braccio, avevamo pensato persino di affittare una casa al piano terra per il tempo necessario. La soluzione l’abbiamo trovata su Internet, affittando un montascale a batteria ricaricabile. Questo attrezzo ci permetteva di agganciare sulla sua pedana la carrozzina, che poteva essere così trasportata su e giù per le scale con una certa facilità.
Il trasporto a scuola e ritorno veniva effettuato con l’ambulanza della Croce Verde e un ringraziamento particolare va a tutto il personale scolastico, da maestre e bidelle, che si è prodigato per le necessità di Serena durante le ore di lezione, per non parlare delle compagne di classe che facevano a gara per starle vicino.
In tutto questo periodo la bimba ha avuto modo di conoscere meglio la storia di Heidi e della sua amica Clara… si è immedesimata nella bimba sulla carrozzina che poi imparava a camminare e la cosa l’ha spronata a rimettersi in piedi. Ancora oggi vede gli episodi del cartone molto volentieri e per la scuola ha voluto che quaderni e diario avessero come protagonista la famosa bimba svizzera (materiale tra l’altro non facilmente reperibile, se non grazie anche in questo caso a Internet).
Alla fine possiamo dire che questa brutta esperienza si è conclusa bene…